Carelli alla guida de L’Espresso: sciopero dopo terzo cambio

Emilio Carelli

Il 31 maggio segna un nuovo capitolo per L’Espresso, storico settimanale italiano, con la nomina di Emilio Carelli a direttore. Carelli succede a Enrico Bellavia, il quale aveva preso il posto di Alessandro Mauro Rossi solo lo scorso febbraio. Questo avvicendamento rappresenta il quarto cambio di direzione da quando la testata è stata venduta da Gedi a Danilo Iervolino nel 2022, passando poi, a fine 2023, sotto il controllo del Gruppo Ludoil Energy della famiglia Ammaturo. CURRISULUM DI ECCELLENZA Emilio Carelli, noto per il suo lungo e prestigioso percorso professionale, porta con sé un bagaglio di esperienze significative. Ex vicedirettore del Tg5, direttore di TgCom e fondatore e direttore di Sky Tg24, Carelli ha anche avuto una parentesi nella politica come parlamentare del Movimento 5 Stelle. La sua nomina, come sottolineato dall’editore in un comunicato, si inserisce in una strategia volta a posizionare L’Espresso come portavoce di un giornalismo di approfondimento di stampo anglosassone. Con l’assunzione di questo nuovo ruolo, Carelli lascia la carica di amministratore delegato che aveva ricoperto dall’arrivo del nuovo editore. RINGRAZIAMENTI E TENSIONI Enrico Bellavia, giornalista con una lunga carriera a Repubblica e subentrato alla direzione de L’Espresso dopo essere stato vice di Rossi, ha lasciato il suo incarico con i ringraziamenti dell’intero gruppo editoriale. Il gruppo ha apprezzato il lavoro svolto in un periodo cruciale per il rilancio della testata, ma Bellavia è consapevole che il suo stile professionale avrebbe potuto incontrare difficoltà nel quadro dei nuovi progetti editoriali. LA REAZIONE DELLA REDAZIONE “L’Espresso cambia oggi il terzo direttore in meno di un anno. Un fatto grave perché dovuto all’ennesimo tentativo di intromissione dell’azienda sul contenuto degli articoli: tentativo a cui il direttore uscente Enrico Bellavia si è opposto garantendo la storia e la tradizione del nostro giornale. Il numero in edicola venerdì, per merito del lavoro della redazione e del direttore che ringraziamo, rappresenta il nostro modo di fare giornalismo. Una pratica che rischia di essere compromessa. Alla luce di questi fatti, l’assemblea di redazione proclama l’astensione dal lavoro per venerdì 31 maggio e consegna un pacchetto di 5 giorni di sciopero in mano al Cdr. La redazione continuerà a fare ogni sforzo per garantire un giornalismo libero, di qualità e fedele alla tradizione de L’Espresso”. È quanto si legge nel documento dell’assemblea di redazione.  

La Repubblica e SIAE: un conflitto sul copyright

La Repubblica_Questa pagina è chiusa per SIAE

La doppia pagina di Repubblica dedicata all’arte è apparsa senza immagini, un gesto forte per denunciare le restrizioni imposte dalla SIAE che stanno soffocando l’informazione culturale. La Società Italiana degli Autori ed Editori, che detiene il monopolio nella gestione dei diritti sulle opere di ingegno, ha imposto tariffe di riproduzione sempre più elevate e una burocrazia asfissiante che rendono quasi impossibile per giornali e gallerie pubblicare immagini di opere d’arte. La protesta nasce dalla constatazione che la SIAE, applicando questi costi esorbitanti e richiedendo lunghi tempi per le autorizzazioni, compromette il diritto di cronaca e critica, fondamentali per lo sviluppo culturale e promossi dalla Costituzione. Dare conto di una mostra, raccontare un quadro o ripercorrere le tappe della storia dell’arte sta diventando un’impresa titanica. Le redazioni dei giornali sono costrette a intraprendere una lunga trafila per ottenere le liberatorie dagli artisti, dagli eredi o dagli aventi diritto, inviando impaginati in pdf alla SIAE con largo anticipo per evitare sanzioni pesanti. Questo processo, che può durare settimane, spesso non porta a risultati concreti. L’esempio emblematico di questa situazione è rappresentato dalla sentenza del giudice di pace di Lucca del 26 novembre 2023, che avrebbe dovuto stabilire un precedente. In quel caso, la rivista Aw ArtMag aveva ribadito il principio che l’uso delle immagini a fini di critica e discussione è libero, purché non costituisca concorrenza economica. Nonostante ciò, la SIAE ha fatto ricorso, continuando a bloccare la libera circolazione delle immagini. La SIAE giustifica le sue tariffe affermando che sono in linea con quelle europee e promette di lavorare a una semplificazione delle norme. Tuttavia, l’informazione culturale è già in grave pericolo. Le regole imposte nel nuovo “Compendio 2024 delle norme e dei compensi per la riproduzione di opere delle arti figurative” prevedono che solo un trafiletto con dati essenziali della mostra possa essere accompagnato da un’immagine, poco più grande di un francobollo, a titolo gratuito. Questo impedisce un’adeguata copertura mediatica e il diritto dei lettori di vedere le opere di cui si parla. Anche i musei, in particolare quelli d’arte contemporanea, stanno soffrendo. Amaci, l’associazione che li rappresenta, ha aperto un tavolo di discussione con la SIAE per chiedere di pagare i diritti d’autore in modo equo. Alcuni musei hanno ricevuto richieste di pagamento per progetti risalenti ad anni fa, con costi sempre più alti per cataloghi, riproduzioni per siti web, manifesti pubblicitari e persino brochure e guide gratuite. Il Museo Morandi, ad esempio, ha dovuto rinunciare alla pubblicazione di una guida gratuita a causa dei costi esorbitanti. Il progetto Raam (Ricerca Archivio Amaci Musei), che rende accessibile online il patrimonio pubblico dell’arte contemporanea italiana, è a rischio. Molti degli autori presenti nel catalogo, viventi o morti da meno di settant’anni, sono tutelati dalla SIAE. Ogni lemma deve essere sottoposto a pagamento e inviato alla SIAE per l’approvazione, un processo che sta rallentando l’intero progetto. Impedire il racconto dell’arte equivale a una cancellazione della cultura stessa. I capolavori che non possono essere mostrati perché tutelati dalla SIAE rischiano di essere dimenticati. Questa situazione solleva dubbi tra gli artisti stessi, che iniziano a chiedersi se questa tutela dei diritti sia davvero una protezione o piuttosto un ostacolo alla diffusione della cultura.