In occasione della Giornata internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti, l’Unesco ha diffuso un rapporto che denuncia il preoccupante livello di violenza verso i professionisti dell’informazione, sottolineando come gran parte degli omicidi di giornalisti restino impuniti. Questa giornata, istituita dalle Nazioni Unite il 2 novembre per commemorare l’assassinio di due giornalisti francesi in Mali nel 2013, mira a sensibilizzare il pubblico e le istituzioni sulla necessità di proteggere chi opera nel mondo dell’informazione, in particolare nelle aree di conflitto.
Nel rapporto, Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco, ha dichiarato: “Nel 2022 e nel 2023, un giornalista è rimasto ucciso ogni quattro giorni semplicemente per aver svolto il suo lavoro alla ricerca della verità. Nella maggior parte dei casi, nessuno sarà mai ritenuto responsabile di questi omicidi”. Questi dati drammatici riflettono una realtà preoccupante: l’85% degli omicidi di giornalisti registrati dal 2006 è rimasto irrisolto. L’Unesco ha quindi esortato i governi ad “aumentare considerevolmente i loro sforzi” per contrastare questo alto tasso di impunità.
Nel biennio 2022-2023 sono stati assassinati 162 giornalisti, con quasi la metà delle vittime impegnate in zone di guerra. Nel 2022, il Messico ha registrato il numero più alto di omicidi, con 19 giornalisti uccisi, seguito dall’Ucraina con 11. Nel 2023, è stato lo Stato di Palestina a riportare il maggior numero di vittime, con 24 giornalisti assassinati.
Dall’Unione Europea sono giunte dichiarazioni di condanna per l’aumento degli attacchi contro i giornalisti. Josep Borrell, Alto Rappresentante per la Politica Estera, e Vera Jourova, vicepresidente della Commissione, hanno lodato il lavoro dei giornalisti in prima linea che operano in contesti di crisi, sottolineando l’importanza delle loro testimonianze. “In occasione della decima Giornata internazionale per porre fine all’impunità dei crimini contro i giornalisti, elogiamo gli impavidi reporter e giornalisti in prima linea che coprono conflitti, crisi ed emergenze. Il loro lavoro è essenziale per denunciare le violazioni dei diritti umani, gli abusi e i crimini di guerra che altrimenti rimarrebbero nascosti alla vista del pubblico”, hanno commentato.
Borrell e Jourova hanno anche evidenziato le difficoltà crescenti per i giornalisti che operano in zone di guerra, specialmente a Gaza, dove “affrontano straordinari pericoli letali per fornire al mondo notizie affidabili in assenza della dovuta protezione e date le ingiustificate restrizioni imposte all’accesso dei media stranieri”. La loro dichiarazione continua a elencare le minacce che i giornalisti affrontano in Ucraina, Libano, Myanmar, Yemen, Sudan e altre aree di conflitto, dove i rischi di violenze, molestie e detenzioni arbitrarie sono quotidiani.
Infine, l’Unione Europea ha riaffermato la necessità di proteggere i giornalisti, sottolineando che attaccare intenzionalmente chi lavora nell’informazione è un crimine di guerra ai sensi del diritto internazionale: “L’Ue condanna fermamente gli attacchi ai giornalisti e chiede ancora una volta un’azione urgente ed efficace per salvaguardare i giornalisti e gli operatori dei media. Il diritto umanitario internazionale è chiaro: i giornalisti e gli operatori dei media sono civili e devono essere protetti in ogni momento. Prendere deliberatamente di mira i giornalisti è un crimine di guerra ai sensi del diritto umanitario internazionale”.