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Errori fatali nella morte di Andrea Purgatori

Un drammatico quadro di errori diagnostici e terapeutici emerge dall’indagine sulla morte del giornalista Andrea Purgatori, deceduto a causa di un’endocardite nel luglio 2023.

Dopo la sua morte il 19 luglio 2023, i tre figli hanno sporto denuncia per accertare se le cure ricevute fossero appropriate. La perizia disposta dal Tribunale di Roma ha concluso che non lo erano. L’indagine è ancora in corso, ma a differenza del solito, la perizia è stata estremamente chiara e critica nei confronti dell’operato dei medici coinvolti.

Secondo la perizia depositata al tribunale di Roma, vi è stata una “catastrofica sequela di errori e omissioni” da parte dei medici coinvolti nelle sue cure. Per omicidio colposo sono indagati il radiologo Gianfranco Gualdi, il suo assistente Claudio Di Biasi, la dottoressa Maria Chiara Colaiacomo e il cardiologo Guido Laudani.

I periti hanno evidenziato che i neuroradiologi indagati hanno refertato in modo scorretto l’esame di risonanza magnetica dell’8 maggio 2023 per “imperizia e imprudenza”. Errori si sono ripetuti anche negli esami successivi, del 6 giugno e dell’8 luglio, sempre per lo stesso motivo. In particolare, il cardiologo Guido Laudani è accusato di aver condotto esami diagnostici insufficienti e di aver commesso una serie di gravi errori. “Una catastrofica sequela di errori e omissioni”, afferma il rapporto peritale, riferendosi all’operato di Laudani.

Secondo la perizia, l’endocardite che ha causato la morte di Purgatori avrebbe potuto essere individuata molto prima, già durante il ricovero tra il 10 e il 23 giugno, o addirittura a maggio, se gli esami fossero stati correttamente valutati. “Un corretto trattamento diagnostico-terapeutico avrebbe consentito a Purgatori un periodo di sopravvivenza superiore”, scrivono i periti, citando che con una diagnosi tempestiva il tasso di sopravvivenza a un anno per l’endocardite è dell’80%.

La perizia ha ricostruito anche la gestione clinica durante il ricovero di luglio 2023. Purgatori venne dimesso senza che i medici avessero visionato i risultati di un prelievo del 19 luglio, che evidenziava una grave anemia, elemento che avrebbe dovuto controindicare la dimissione. Inoltre, il trattamento anticoagulante impostato per una diagnosi errata di fibrillazione atriale si è rivelato potenzialmente fatale, aggravando ulteriormente il quadro clinico.