Donald Trump ha dato avvio a una serie di azioni legali e minacce contro i media ritenuti “nemici”, come rivelato dalla Columbia Journalism Review. Pochi giorni prima delle elezioni presidenziali, l’avvocato Edward Andrew Paltzik, in rappresentanza del futuro presidente eletto, ha inviato una lettera al New York Times e alla casa editrice Penguin Random House, chiedendo 10 miliardi di dollari di risarcimento per presunti danni derivanti da articoli giudicati critici e diffamatori.
La lettera, che si aggiunge a un’ondata di azioni legali avviate da Trump contro testate giornalistiche e media, accusa il New York Times di essere diventato “un megafono del partito Democratico” e di condurre una campagna di “diffamazione su scala industriale” contro i suoi oppositori politici. I giornalisti Peter Baker, Michael S. Schmidt, Susanne Craig e Russ Buettner vengono citati come autori di articoli che avrebbero contenuto “affermazioni false e diffamatorie”.
La lettera si concentra in particolare su due articoli cofirmati da Craig e Buettner, collegati al loro libro Lucky Loser: How Donald Trump Squandered His Father’s Fortune and Created the Illusion of Success, pubblicato lo scorso settembre. Viene inoltre citato un pezzo del 20 ottobre a firma di Peter Baker, intitolato Per Trump una vita di scandali porta al momento del giudizio, e un articolo del 22 ottobre di Schmidt, Con le elezioni alle porte Kelly avverte che Trump governerà da dittatore, in cui l’ex capo di gabinetto John Kelly criticava aspramente l’ex presidente.
Secondo quanto riportato nella missiva, il New York Times avrebbe avuto “ogni intenzione di diffamare e denigrare il marchio Trump, famoso in tutto il mondo, che i consumatori associano da tempo all’eccellenza, al lusso e al successo nell’intrattenimento, nell’ospitalità e nel settore immobiliare, tra molti altri settori, nonché di diffamarlo e denigrarlo falsamente e maliziosamente come candidato alla carica più alta negli Stati Uniti”.
Le azioni legali non si sono fermate al New York Times. Trump ha intentato una causa contro CBS News per 10 miliardi di dollari, accusando la rete di aver manipolato un’intervista con la candidata democratica Kamala Harris trasmessa il 7 ottobre durante il programma 60 Minutes. Secondo i legali di Trump, il montaggio dell’intervista avrebbe rappresentato una forma di “interferenza elettorale”.
Anche il Daily Beast è stato preso di mira: gli avvocati del team di Trump hanno inviato un’ingiunzione, contestando un articolo che attribuiva a Chris LaCivita, co-direttore della campagna elettorale, un guadagno personale di 22 milioni di dollari derivante da donazioni elettorali. Nonostante la testata abbia corretto l’articolo, precisando che i fondi erano stati versati alla società di LaCivita e non a lui personalmente, Trump ha continuato a minacciare azioni legali per la presunta rappresentazione distorta dei fatti.
Anne Champion, avvocata esperta in casi legali legati a Donald Trump, ha evidenziato come le cause intentate contro i media creino un “effetto agghiacciante”, soprattutto per le testate più piccole, che rischiano la bancarotta nel tentativo di difendersi. Anche le grandi redazioni, secondo Champion, subiscono pressioni che influenzano il processo giornalistico, temendo il peso economico delle controversie legali.
La lettera inviata al New York Times accusa il giornale di aver intenzionalmente diffamato Trump, descrivendolo come un brand globale sinonimo di successo e lusso, oltre che come “epitome del sogno americano”. Viene elencata una lunga serie di successi personali e imprenditoriali, tra cui cinquanta progetti significativi, ventitré libri e numerose apparizioni mediatiche, come WrestleMania V e il videogioco Donald Trump Real Estate Tycoon!
Infine, la lettera respinge le critiche mosse dagli articoli al periodo di Trump come star di The Apprentice, considerandolo uno dei suoi traguardi più celebri, accanto ai successi immobiliari e alla vittoria presidenziale al primo tentativo.
Le azioni legali di Trump non sono una novità: già nel 2005 aveva citato in giudizio il giornalista Tim O’Brien per il libro TrumpNation: The Art of Being The Donald. La causa, poi respinta, mirava, come dichiarato dallo stesso Trump, “a rendere la vita del giornalista un inferno”.